Oggi, 27 gennaio, è la giornata della
memoria.
Si sono spese, negli anni, molte parole
per cercare di capire i meccanismi che hanno spinto l'uomo a mettere
in atto la più grande strage di persone macchiate di una sola colpa:
essere ebree.
(Il termine “colpa” lo utilizzo
perché, agli occhi dei carnefici, quella era davvero tale. Mi
discosto, ovviamente, da quel pensiero.)
Si parla di carnefici, si ricordano con
tristezza le vittime e si riflette sulla “zona grigia”, coloro
che rimasero indifferenti. È giusto che sia così, senza dubbio.
Due anni fa, la mia prof di italiano e
storia propose a noi classe un progetto molto interessante che chiamò
“Chi salva una vita, salva il mondo intero”. Ci dividemmo in
gruppi e il nostro obiettivo fu quello di presentare alla classe la
storia di un giusto tra le nazioni.
Ma chi è un Giusto tra le Nazioni?
Un giusto è, per definizione, un non
ebreo che, nei duri anni della Shoah, mise in pericolo la propria
vita per aiutare un ebreo. Non tutti, infatti, decisero di voltare le
spalle ai perseguitati e lasciarli al proprio destino. Qualcuno, nel
suo piccolo, disse di no.
La scoperta più sensazionale è
proprio questa: qualcuno disse di no.
In onore di questi giusti fu fondato
presso lo Yad Vashem, l'Ente nazionale per la memoria della Shoah di
Gerusalemme, il Giardino dei giusti. Si tratta di un giardino dove,
per ogni giusto scoperto, si pianta un albero.
Arriviamo, dopo questa premessa, al
titolo di questo articolo oltre che del libro che vedete in foto.
Il tribunale del bene è la Commissione
dei giusti, ovvero, un gruppo di persone incaricate a giudicare i
salvatori e intitolarli (o meno) Giusti. Moshe Bejski ne fu
presidente.
“Moshe Bejski esercitava uno strano
mestiere. Faceva il pescatore di perle. Si tuffava nel passato per
scoprire un tipo di uomini (di cui si parla sempre troppo poco) che
nei tempi oscuri del mondo permettono di credere ancora nelle
possibilità dell'uomo.”
Il primo presidente di questa
commissione, Moshe Landau, immaginava il “Giusto” come un eroe
senza macchia e senza paura, superiore a tutti gli altri. Fu Moshe
Bejski a introdurre il concetto di “Giardino degli uomini normali”.
“Non voleva che si costruisse su
quella collina di Gerusalemme il giardino degli eroi, ma il giardino
degli uomini normali. Voleva ricordare il rischio che ogni uomo si
assume e non esaltare soltanto quello estremo che mette
consapevolmente in conto la morte. […]
Chiunque avesse passeggiato nel
giardino avrebbe avuto certamente una grande ammirazione per quegli
uomini, ma avrebbe poi pensato che per agire contro un genocidio
bisognava essere al di sopra della normalità.”
Secondo Bejski, sarebbe passato il
messaggio che il nazismo si potesse combattere soltanto con il
sacrificio supremo della vita, con un comportamento al di là delle
comuni qualità umane. Di conseguenza, milioni di ebrei sarebbero
morti non per l'indifferenza e la complicità di chi non si era
opposto, ma perché la resistenza alla soluzione finale era
un'impresa quasi impossibile, sovrumana.
A spingere Moshe a far parte di questo
progetto fu il senso di responsabilità che provò nei confronti del
suo salvatore, Oskar Schindler. Bejski fece parte della famosa lista
che gli permise di lavorare nella fabbrica di questo imprenditore
tedesco che salvò molti ebrei dalla morte.
Dalla sua esperienza personale ne
trasse un messaggio universale decidendo di ricercare anche gli altri
salvatori, i giusti.
“Aveva intuito che i ricordi del bene
erano come fogli sparsi che il vento della storia si portava via per
sempre se qualcuno non li ordinava e catalogava con la precisione e
la modestia di un bibliotecario.”
La storia di Moshe Bejski è finita
nelle mie mani per caso, due anni fa. Il compito del mio gruppo fu,
infatti, di presentare lo Yad Vashem, il Giardino dei Giusti e la sua
storia. M'impegnai con tutto il cuore in questo progetto tanto da
sentirne ancora l'eco.
Lo propongo oggi, 27 gennaio, per lo
stesso motivo che ho trovato leggendo un pensiero di Bejski.
“Nonostante Auschwitz, il male ha
continuato a presentarsi sulla scena del mondo, dal Biafra al Ruanda,
all'ex Jugoslavia. E se il male continua, cerchiamo di capire come
possa continuare a esistere anche il bene”.
Ho deciso, dunque, in virtù di quanto
detto finora, di portare sulla mia pagina le storie dei giusti. Qui, su Instagram e
su Wattpad condividerò i racconti di coloro che
decisero di dire di no.
All'iniziativa darò lo stesso nome del
progetto che ha indirizzato me su questa strada: “Chi salva una
vita, salva il mondo intero”.
“E se il male continua, cerchiamo di
capire come possa continuare a esistere anche il bene.”
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