Oggi
non è il 27 gennaio.
Non ci
sono diecimila post in giro con scritto “per non dimenticare”
perché quelle frasi circolano sul web, per le strade e a scuola
quasi solo il 27 gennaio.
“Beh,
perché è la giornata della memoria”. Ed è giusto che un momento
in particolare ci sia.
Peccato
che ricordare la peggiore manifestazione dell'odio e della mancata
sensibilità ed empatia dell'uomo non dovrebbe essere un evento da
ricordare una volta all'anno, giusto per.
E
quando ti capita tra le mani “Il bambino con il pigiama a righe”
di John Boyne, non puoi tirarti indietro, indipendentemente dal
giorno e dal mese.
La
storia, conosciuta ai più, racconta di un bambino di nome Bruno,
figlio di un Comandante, che è costretto, da un giorno all'altro, a
trasferirsi in una casa ad “Auscit” (Auschwitz) con la sua
famiglia. Dalla finestra della sua stanza vede il campo circondato da
filo spinato. Osserva le baracche, ma quello che più lo colpisce
sono i “pigiami a righe” di quelle persone che ci abitano. Avendo
solo nove anni, non sa il perché di tutto ciò, non sa chi sono e
desidera, soffrendo la solitudine dovuta al trasferimento, poterli
conoscere e poterli invitare a cena.
Un
giorno, decide di fare una delle sue esplorazioni percorrendo tutto
il reticolato del campo. È così che incontra Shmuel che si trova
dall'altra parte della rete. È magro, non ha i capelli e indossa uno
di quei pigiami a righe. Hanno così tante cose in comune!
Addirittura, sono nati lo stesso giorno.
Nasce così una grande amicizia, ma tornato a casa decide di non farne parola con nessuno per paura delle conseguenze. Continuerà, tuttavia, ad incontrarlo per chiacchierare.
Nasce così una grande amicizia, ma tornato a casa decide di non farne parola con nessuno per paura delle conseguenze. Continuerà, tuttavia, ad incontrarlo per chiacchierare.
Non
svelo il finale della storia perché, nonostante abbiano anche girato
il film e il libro risalga a diversi anni fa, potrebbe esserci
qualcuno che non si è ancora confrontato con questo racconto.
Conoscere
il “segreto” che si nasconde nel campo rende questo libro un
enorme attesa verso un'evoluzione disastrosa. Si percepisce un
temporale in arrivo, anche quando il cielo è sereno.
È
straziante. È una serie interminabile di riflessioni che si
presentano anche solo per via di una frase o di un dialogo tra Bruno
e sua sorella.
Non si
tratta di una storia vera, eppure fornisce una visione realistica
dell'inferno attraverso gli occhi di due bambini di soli nove anni
che, per ragioni a loro incomprensibili, si sono trovati a vivere
dalle due parti opposte di una rete.
Tali
ragioni, restano incomprensibili anche ai miei di occhi. È
inconcepibile pensare che l'odio verso “un'altra razza” possa
portare alla realizzazione di un campo di messa a morte.
Morte.
Una cosa definitiva e irreversibile, moltiplicata per milioni di
volte, in pochi anni, perché qualcuno si è messo a fare Dio e a
decidere della fine degli altri, non prima di averli sfruttati,
umiliati, portati a stento al loro ultimo respiro.
Non so
se ho usato le parole giuste in questo articolo. Non so se parole
giuste possano, in effetti, esistere. Quello che so è che ricordare
i limiti (negativi) che gli uomini in passato hanno esageratamente
superato può aiutare a tenere gli occhi aperti e a cercare di non
far sparire più quell'uomo che tanti anni fa preferì non farsi
trovare.
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